Trieste, 1975 (Audio)
Director: Gianandrea Gavazzeni
Interpretes:
- Leyla Gencer
- Ruggero Bondino
- Aurio Tomicich
- Rita Lantieri
- Mario D AnnaArchivos para descarga:
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Aporte de Roberto
Leggenda lirica in tre atti di Silvio Benco
Musica di Antonio Smareglia
La Falena – Leyla Gencer
Albina – Rita Lantieri
Re Stellio – Ruggero Bondino
Uberto – Mario D’Anna
Morio – Aurio Tomicich
il ladro – Dario Zerial
un marinaio – Giuseppe Botta
Orchestra e Coro del Teatro “G. Verdi” di Trieste
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi – 18 marzo 1975
Leyla Gencer: Balzato é dal giaciglio… http://youtu.be/5PjZwPsNhgM
Prima: Venezia, Teatro Rossini 4 settembre 1897
Personaggi: La Falena, soprano – Re Stellio, t.enore – Uberto, baritono – Alabina,
soprano – Morio, basso – Il ladro, basso – un marinaio, tenore
Sinossi: Sulle coste europee dell’Atlantico nel I° secolo d.C. ai primi tempi del
cristianesimo. Il giovane re Stellio torna dalla caccia e bacia la sua fidanzata, la
vergine Albina, poi, su intercessione della ragazza, perdona un ladro che i suoi
soldati hanno arrestato. Ma Albina ha avuto dei tristi presagi: improvvisamente
dalla foresta appare una fanciulla misteriosa dai capelli neri, che pronuncia la
formula di un incantesimo e si ritira nella foresta. Stellio, in preda alla magia,
lascia Albina e raggiunge la misteriosa fanciulla, la Falena, nella sua capanna nel
bosco. La Falena lo fa bere, lo bacia, lo spinge a uccidere Uberto, il padre di
Albina, che cercava invano di ricondurlo a corte. All’alba del giorno dopo la Falena
scompare, mentre Stellio si consegna ai suoi uomini confessando l’omicidio. Sulla
riva del mare Albina perdona l’omicida, ma spira abbracciando il cadavere del padre.
“Un idillio sconvolto in tragedia” così il ventunenne Silvio Benco definiva la
leggenda che aveva scritto per l’opera di Smareglia. L’incontro con il giovane poeta
Silvio Benco comporta per Smareglia il passaggio a un teatro dominato da temi
onirici, da personaggi della fantasia, al di fuori di ogni verosimiglianza. Se per
Falena, come avverrà poi per le altre due opere su testo di Benco Oceana e Abisso, i
critici sprecarono l’aggettivo wagneriano, è perché il compositore accresce la
potenza dinamica dell’orchestra, fa un largo uso di Leitmotive, utilizza numerosi
squarci sinfonici, come i preludi che precedono i tre atti. L’atto più interessante
è il secondo: non solo perché è in pratica un unico, lungo duetto di tenore e
soprano (salvo un breve terzetto all’arrivo del baritono), ma perché una ricca
orchestrazione delinea un’atmosfera di magia, di mistero, che ben si adatta alla
figura di Falena. Il finale dell’atto, inoltre, raggiunge un’intensa drammaticità,
con una sorta di melopea sinfonica nella quale all’allucinato Stellio pare di udire,
lontano, il pianto di Albina.
Antonio Smareglia nacque a Pola il 5 maggio1854 ma le sue origini affondano però
nell’Istria minore ma non per questo meno vera e nobile. Da parte paterna infatti le
sue origini si rifanno a Dignano, città dell’Istria meridionale, mentre da parte
materna (Giulia Stiglic) ad Ica, piccola borgata di Laurana d’Istria più vicina
all’altra radice storica dell’Istria, quella slava. Dal padre Francesco, che suonava
il flicorno basso nella banda cittadina, e come vedremo in seguito dalla madre,
erediterà la passione per la musica. Tale radici costituiranno l’humus da cui si
nutrirà la sua musica che sarà in grado di fornire una sua originalità ricca sia
della musicalità italiana, che degli impasti sinfonici di area mitteleuropea oltre a
rielaborare con sapienza gli echi folclorici sia del lato romanzo che slavo che gli
provenivano dai suoi genitori, dalla cultura ricca e diversificata dell’Istria.
Antonio iniziò a frequentare le scuole elementari a Fiume poi a Capodistria ed
infine a Pisino ove terminò la quarta elementare, dopo di che frequentò a Gorizia le
scuole reali inferiori. Espulso da questa scuola per indisciplina venne mandato dal
padre a studiare alle reali superiori del Politecnico di Vienna. Bocciato all’ultima
classe delle reali superiori di Vienna, fu mandato a Graz e iscritto a quel
Politecnico come uditore, mentre nello stesso tempo avrebbe dovuto prepararsi per
superare gli esami dell’ultimo corso delle Reali. Come si vede da queste tormentato
percorso scolastico il Nostro fu uno studente vivace che poco si applicava allo
studio ed anche a Vienna e Graz, più che la scuola, lo attrasse il Teatro dell’opera
e la Sala dei Concerti visto che la sua naturale indole lo portava a seguire l’estro
musicale forse in questo, anche se involontariamente, contagiato dal padre, e così
alla fine dell’anno scolastico se ne ritornò da Graz, ove aveva iniziato a studiare
il piano, senza alcun attestato scolastico. Nel 1871 si recò a Milano ove frequentò
le lezioni private del maestro Franco Faccio che lo iniziò allo studio della
Composizione. L’anno seguente si iscrisse al Conservatorio e scrisse un lavoro in un
atto, sotto il consiglio del maestro Faccio, La Caccia Lontana, composizione per
voce e orchestra su libretto di Giovanni Pozza. Dopo 4 anni di Conservatorio, nel
1876, scrisse la sua prima opera Preziosa. L’opera venne eseguita tre anni dopo al
teatro Dal Verme di Milano, nell’autunno del 1879 ed il successo fu così clamoroso
da far decidere la Casa Editrice Lucca (oggi Ricordi) di acquistarla e stipulare con
l’Autore un contratto. Nel 1882 uscì la sua seconda opera Bianca da Cervia la cui
prima esecuzione ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano e fu un grande successo
di pubblico tanto che ebbe ben 22 repliche. Nel 1882 Smareglia a Pola sposa Maria
Jetti Polla, nota per la sua bellezza, tanto da essere sopranominata la ‘stella
dell’Istria’, e che sarà la compagna fedele della sua vita. La sua terza opera
giovanile Re Nala fu rappresentata per la prima volta alla Fenice di Venezia nel
1887 non ottenendo però un particolare successo di pubblico. In queste sue prime
opere Smareglia era rimasto nell’ambito della tradizione operistica italiana, con la
sua successiva opera, il Vassallo di Szigeth, inizia il suo percorso musicale più
personale accogliendo i nuovi spunti che la musica di Mendelssonn, Schumann, Weber e
Wagner diffondevano in Europa. Il Vassallo, scritto inizialmente su libretto di
Luigi Illica e G. Pozzo, venne rappresentato con successo in lingua tedesca al
Teatro Imperiale dell’Opera di Vienna, nel 1889 oltre che al prestigioso
Metropolitan di New York. Nel 1893, a Praga, in lingua ceca, viene inoltre
rappresentato il Cornill Schut su libretto di Luigi Illica, rifatto poi con il
titolo di Pittori Fiamminghi. Ritornato infine in Istria si stabilì a Dignano dal
1894 e fu lì che grazie ad Illica prese forma il libretto di quella che sarà la sua
opera più famosa, Le Nozze Istriane. I due amici infatti avevano preso a vagabondare
insieme per Dignano, Gallesano e dintorni avendo modo di conoscerne gli originali
costumi nuziali, le usanze, le canzoni e la vivace e pittoresca parlata di quelle
zone ove, insieme con Rovigno, era ancora vivo l’antico idioma istrioto. L’opera
ebbe la sua prima esecuzione al Teatro Verdi a Trieste nel 1895, poi a Praga e
Vienna, nel 1905 a Venezia alla Fenice, presente un entusiasta Puccini, ma le
edizioni continueranno sino ai giorni nostri e sempre con un grande favore di
pubblico. Nel 1895 Smareglia si stabilì a Trieste e l’anno dopo, su parole di Silvio
Benco, scrisse un Inno per banda e coro in occasione dello scoprimento, a Pirano,
del monumento al grande violinista e compositore istriano Giuseppe Tartini. La sua
nuova opera, la Falena venne rappresentata a Vienna nel 1897 e a Trieste nel 1899,
ottenendo un caloroso successo attirando sul’autore l’attenzione dello stesso Verdi.
All’apice del successo, mentre a Milano si accingeva a comporre l’opera Oceana,
venne colpito da cecità. Malattia che non gli impedì comunque di terminare l’opera
che venne rappresentata nel 1903 alla Scala di Milano sotto la direzione del grande
Maestro Arturo Toscanini. A Trieste, nel 1906, iniziò a comporre la sua ultima
opera, l’Abisso, su libretto di Silvio Benco, che completò nell’autunno del 1911
nell’isolamento di Dignano. L’opera, dedicata ad Arturo Toscanini, fu rappresentata
alla Scala di Milano nel 1914 sotto la direzione di Tullio Serafin. Dopo la perdita
dell’amata moglie, avvenuta nel 1918, si dedicò alla composizione di musica sacra.
Risalgono a tale periodo di amarezza e sconforto un Salve Regina, un Pater Noster ed
un’Ave Maria. Ormai vecchio e stanco si ritirò a passare gli ultimi suoi giorni
nella quiete di Grado ove ritrovò un po’ di serenità come traspare anche in due sue
piccole e graziose composizioni, quelle Canzoni Gradesi, musicate sui liquidi versi
di Biagio Marin, il grande poeta dialettale di Grado. Nell’ambito di questa
amicizia-collaborazione Biagio Marin chiese al Maestro in quale dei due ambienti
culturali da lui frequentati negli anni della sua giovinezza e della maturità
artistica, quello di Milano o quello viennese, lui avrebbe preferito vivere avendo
dal compositore istriano questa significativa risposta: “Io non avrei voluto calarmi
né di qua né di là, perchè vede, Marin, siamo di questa terra, così commista di
genti diverse, e ad essa appartengo: dove avrei dovuto veramente calarmi?” Così del
resto sono emblematiche queste sincere parole del Maestro quando racconta del
tributo che deve la sua musica alla sua origine istriana ed alla madre slava: “Da
bambino io ho imparato da lei tante belle canzoni croate. Mia madre aveva una
dolcissima voce, e quando me le cantava io restavo affascinato: mi prendeva tutto in
quell’onda così calda, così melodiosa e io sono rimasto con le radici dell’anima in
quel canto… Forse non ci si è resi conto quanto di mia madre c’è nelle Nozze
Istriane. Questo è il mio dono all’Istria, alla mia terra, alla mia gente, in tutti
i suoi limiti.” E fu a Grado, il 15 aprile 1929, in faccia ad una laguna ancora
percossa da qualche brivido invernale, che la morte lo liberò dalle sue sofferenze
fisiche e morali. Sarebbe opera meritoria riscoprire la musica del maestro istriano
che univa in sé le due anime profonde dell’Istria, quella slava e quella italiana,
onorandole ambedue al meglio visto che nel suo caso hanno unito la loro ricchezza
culturale invece di dividersi in sterili nazionalismi.